
Entrerà in vigore il prossimo 14 aprile la nuova disciplina in materia di corruzione tra privati introdotta dal d.lgs. 15 marzo 2017 n. 38, emanato in attuazione della decisione quadro 2003/568/GAI del Consiglio del 22 luglio 2003, relativa alla lotta contro la corruzione nel settore privato.
Il processo di attribuzione di uno statuto penale alle condotte di corruzione tra privati si colloca infatti in un quadro di adeguamento dell’ordinamento interno alle convenzioni internazionali volte a reprimere il fenomeno corruttivo, suscettibile, anche quando realizzato da soggetti privati, di alterare la concorrenza danneggiando l’economia[1].
La novella legislativa apporta significative modifiche alle disposizioni codicistiche in materia di reati societari, estendendo l’ambito di applicazione agli enti privati non societari, nonché modificando e ampliando le condotte che assumono rilevanza penale e il novero dei soggetti attivi. Le nuove fattispecie registrano altresì un inasprimento del sistema sanzionatorio complementare, costituito da pene accessorie e da sanzioni per il compimento di illeciti amministrativi di cui al d.lgs. 231/2001.
Salvo che il fatto costituisca più grave reato, l’art. 2635 cod. civ. ha riformulato la fattispecie penale della corruzione tra privati punendo con la reclusione da uno a tre anni gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori di società o enti privati che, anche per interposta persona, sollecitano o ricevono, per sé o per altri, denaro o altra utilità non dovuti, o ne accettano la promessa, per compiere o per omettere un atto in violazione degli obblighi inerenti al loro ufficio o degli obblighi di fedeltà. L’intervento normativo estende la responsabilità penale ai soggetti che, pur assumendo ruoli diversi da quelli apicali (in quanto sprovvisti di poteri esterni di rappresentanza o direzione) ovvero non essendo formalmente investiti di tali qualifiche, esercitino cionondimeno funzioni direttive di gestione e di controllo.
Con il nuovo art. 2635 bis, il provvedimento in esame censura per la prima volta l’istigazione alla corruzione tra privati. A querela della parte offesa infatti, chiunque offra o prometta denaro o altra utilità non dovuta alle figure apicali di amministrazione (nonché a chi svolge altre funzioni direttive) affinché compia od ometta un atto in violazione degli obblighi inerenti al loro ufficio o degli obblighi di fedeltà sarà punito con la pena detentiva stabilita dall’art. 2635 cod. civ., ridotta di un terzo qualora l’offerta o la promessa non siano accettate. Della medesima riduzione di pena beneficeranno anche gli alti vertici dell’amministrazione dell’ente, qualora non sia stata accettata la sollecitazione posta in essere, anche per interposta persona, finalizzata ad ottenere una promessa ovvero la dazione di denaro o altra utilità per compiere od omettere atti in violazione degli obblighi inerenti al loro ufficio o degli obblighi di fedeltà.
Accanto alla pena detentiva, il legislatore ha previsto che, in caso di condanna ai sensi dell’art. 2635 comma 1 cod. civ., sia disposta altresì la pena accessoria dell’interdizione temporanea dagli uffici direttivi alle figure apicali di amministrazione che abbiano già subito condanne per il medesimo reato ovvero per istigazione alla corruzione tra privati.
LS
[1]Convenzione delle Nazioni Unite sulla corruzione internazionale elaborata a Merida in data 31 ottobre 2003, Convenzioni di Strasburgo del 1999 promosse dal Consiglio d’Europa e relative alle conseguenze penali e civili della corruzione.
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